Ernestine Ungnad von Weissenwolf Durazzo : «la Catena che mi Seppe Incatenar»

Ernestine Ungnad von Weissenwolf Durazzo : «la Catena che mi Seppe Incatenar»
Giacomo Durazzo con la moglie Ernestine che sostiene con la mano il laccio d'amore, incisione dal dipinto "Count Giacomo Durazzo (1717–1794) in the Guise of a Huntsman with His Wife (Ernestine Aloisia Ungnad von Weissenwolff, 1732–1794), di Martin van Meytens the Younger, esposto al Metropolitan Museum of Art;


di Angela Valenti Durazzo – Ernestine Ungnad von Weissenwolf Durazzo: Testo tratto dal Catalogo della Mostra “Giacomo Durazzo, Teatro Musicale e Collezionismo tra Genova Parigi Vienna e Venezia” 30 giugno – 7 Ottobre 2012, a cura di Luca Leoncini

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Foto dell’articolo ©arvalens

…Posso dir che frà sospetti

Sempre palpito, e deliro:

Non sò dir quai son gl’oggetti

Che mi fanno delirar.

Ah sol deve in tanta pena

Raddolcir la mia catena

Chi mi seppe incatenar

(Giacomo Durazzo Le Cacciatrici amanti. festa teatrale di Georg Christoph Wagenseil – Vienna 1755)”.

Ernestine dalla pelle d’avorio ed il nasino all’insù che risplende alla corte di Vienna e poi nelle vesti di Ambasciatrice d’Austria a Venezia, affascinante padrona di casa nel palazzo che si affaccia sul Canal Grande. Eccola, la moglie austriaca dell’ambasciatore Giacomo Durazzo, che incede elegante nel salone del San Benedetto. Casanova, divenuto collaboratore del Tribunale degli Inquisitori di Stato, riferisce sulla “disubbidienza” della nobildonna recatasi al ballo “senza maschera, diversamente da quanto stabilito dal Consiglio dei dieci”.

Perché nascondere, d’altronde, i lineamenti che le avevano fatto conquistare la fama di donna più bella d’Austria? La bellezza e le doti intellettuali faranno si che anche nella Repubblica di San Marco, la nobildonna venga “circondata dal rispetto universale”1e il suo salotto veneziano frequentato dai migliori nomi del tempo.

L’Ambasciatrice era però dotata anche di un temperamento quanto mai vivace, e più volte gli inquisitori di Stato dovevano spedire dall’Ambasciatore il loro portavoce, abate Cattaneo, a rappresentare lagnanze e mugugni2. D’altronde“come resistere all’autorità di una bella bocca?”confidò riferendosi ad Ernestine Metastasio in una lettera al celebre Farinelli3.“Fortunato chi mira il lusinghiero amabil riso e i vivi raggi accolti nel balenar del nobil guardo altero. Miseri quelli, ch’hai tra lacci avvolti” rincarò la dose Giovanni Battista Ricchieri4, poeta che certo non lesinava gli apprezzamenti nei versi dedicati agli esponenti di casa Durazzo ma che forse rimase realmente ammaliato quando la giovane viennese, nel 1752, varcava la soglia del palazzo di strada Balbi, domus magna dell’illustre casato ed emblema della Genova degli aristocratici5.

Ernestine Ungnad von Weissenwolf Durazzo : «la Catena che mi Seppe Incatenar»
Ritratto del conte Giacomo Durazzo, appartenente alla Dinastia Genovese Durazzo e consorte di Ernestine. Olio su tela, ambito di Martin van Meytens il giovane ©collezione privata.

Ernestine e Giacomo: un Profondo Legame

Aveva visto bene il conte Kaunitz, futuro Cancelliere di Stato, di cui Giacomo è il “miglior amico” favorendo l’unione tra l’esponente dell’aristocrazia genovese e la diciottenne Ernestine Ungnad Von Weissenwolf, damigella di corte dell’Imperatrice Maria Teresa d’Austria e figlia del Conte Giuseppe Antonio, Presidente del Governo d’Alta Austria. Il regista della politica teresiana si recherà alle nozze della coppia il 17 marzo 1750 e resterà un’intera vita in relazione con loro, come attestano i dispacci conservati nell’archivio di stato di Vienna, le testimonianze dei contemporanei ed anche qualche frase che il potente cancelliere si lascia scappare tra le righe delle corrispondenze ufficiali “Bramerei ch’ella mi potesse tener compagnia – confida Kaunitz a Durazzo nel luglio del 1767 – e respirare assieme alla Sig.ra Contessa quest’aria di Moravia, certamente più fresca di quella di Venezia”. 

E quello tra Giacomo ed Ernestine sarà un legame indissolubile. L’aristocratica condividerà con il consorte la passione musicale e per l’arte. Cavalcherà con lui l’onda del successo viennese, l’età del collezionismo veneziano e condividerà infine il tempo della vecchiaia e delle difficoltà economiche, in un’unione nuziale che le reciproche scappatelle non rendono meno salda e che avrà, forse, come unico neo, visto sotto il profilo della continuazione dinastica, quello della mancanza di una discendenza. 

Le nozze con Ernestine imparentano Giacomo con alcuni nomi chiave dell’aristocrazia europea e del mondo musicale che gravitava intorno alla corte austriaca: il boemo barone Von Morzin, sposo di Philippine, sorella della moglie (che sarà particolarmente legata alla coppia) ed il principe Esterhàzy marito della terza delle ragazze von Ungnad, Marie Elizabeth. 

La figura della sposa straniera del conte, sebbene meno studiata e conosciuta dagli storici, si impone e lentamente brilla di una luce propria nella biografia che nel 2004 iniziai a scrivere su Giacomo Durazzo. (Il Fratello del Doge, Giacomo Durazzo un Illuminista alla Corte degli Asburgo fra Mozart Casanova e Gluck, La Compagnia della Stampa, 2012, CHRA Principauté de Monaco). La nobildonna acquista la dignità di coprotagonista scalciando, insinuandosi tra le righe, capricciosa e volitiva, proprio come la bella austriaca darà prova di essere nella propria esistenza e come appare chiaramente in alcune testimonianze dell’epoca. Ben coglie tale aspetto della sua personalità Van Meytens effigiandola, sebbene giovanissima, nel ritratto soprannominato dei Cacciatori amanti mentre «tiene fra le mani un laccio d’amore».  Infatti «la superiorità fisica della sua figura rispetto a quella di Giacomo ne dimostra il carattere di dominatrice» poiché «Ernestine tiene legato a sé il marito, così come Dafne teneva legato Elpino». Andrea Lanzola fa notare, infine, che «i veri Cacciatori amanti, protagonisti della pièce composta da Durazzo, sono in realtà lui stesso e sua moglie»6 .

Ed il laccio, o catena d’amore”, che simbolicamente unisce i due, merita di essere tratteggiato alla luce di alcune testimonianze ricavate dalle corrispondenze dell’epoca7 e che forse più di tante congetture possono darci la fisionomia della moglie dell’Ambasciatore Durazzo (sulla famiglia Durazzo Leggi ).

La nobiltà genovese al femminile
Ft©arvalens da La Mode Illustrée, Collezione Privata

Certe storie sono state scritte per essere raccontate: in quest’ottica si delineano e prendono forma le due facce di Ernestine, sposa fedele ed impertinente, come i costumi sentimentali di un’epoca caratterizzata altrove dalle favorite del re (e a Genova dai cavalier serventi) rendevano accettabile. 

L’Arciduca Giuseppe, scrivendo alla madre Maria Teresa d’Austria, dipinse nel 1764 la contessa Durazzo al culmine della gioia8, per l’allontanamento di Louise Joffroy Bodin, la ballerina e cantante, idolo delle scene viennesi, protetta di Giacomo, che gli costerà (pretestuosamente) il trasferimento da Vienna a Venezia e le dimissioni da Direttore Generale degli Spettacoli.“Uno di quegli scandali – sottolinea Luca Leoncini – con al centro una celebre ballerina che possono stroncare carriere mirabolanti e oscurare anche la stella più lucente…”9.

Ernestine comunque ricambieràil consorte lasciandosi corteggiare da un ufficiale austriaco. “L’amore era sorto a Vienna ed era proseguito a Venezia ma gli Inquisitori di Stato “assunte le informazioni, fecero bandire da Venezia l’amante della contessa”10 .

Così Giacomo, proprio come nell’opera di cui è librettista Le Cacciatrici amanti, dovette fare i conti con “un insediator novello”. La nobildonna infatti, “era corteggiata dal conte Federico Augusto di Nassau-Usingen, ufficiale e poi generale dell’armata imperiale…Il marchese Grimaldi, amico del conte Giacomo Durazzo, era ricorso all’abate Cattaneo, intermediario abituale tra il Governo della Repubblica e il corpo diplomatico per far porre riparo a questa relazione che minacciava scandalo. L’abate ne informò gli Inquisitori di Stato, che, assunte le informazioni fecero bandire da Venezia l’amante della contessa11”.

Ma il conte di Nassau non si diede per sconfitto e fece ritorno, entrando questa volta dal portone principale.

«…C’era stato di peggio, ma l’Ambasciatore non l’aveva mai saputo. La gente della contrada di San Barnaba seguiva con una certa meraviglia i passi di un personaggio in baùta che, avviluppato in un ferraiolone nero, si aggirava nelle calli del circondario. Un confidente degli inquisitori di Stato, si era buttato sulla pista ed era giunto alla conclusione che si trattava di un personaggio di sangue reale, il conte di Nassau che, a Vienna, prima della partenza della coppia Durazzo per Venezia, si era mostrato assiduo corteggiatore della Contessa. Poiché le visite del misterioso personaggio avevano sempre come obiettivo finale il palazzo dell’Ambasciatore, il confidente faceva parte agli inquisitori delle sue preoccupazioni: la contessa era nervosa, l’ambasciatore cominciava a subodorare qualcosa, il suo temperamento «sulfureo» poteva far temere deprorevoli eccessi, la reputazione di una coppia così importante rischiava di essere compromessa.

Il Tribunal Supremo, approfittando dell’incognito del conte di Nassau, giocò d’anticipo. Un fante fu immediatamente spedito alla dimora veneziana di lui, presso un’affittacamere di lusso nella casa che sta sul Canal Grande tra palazzo Moro Lin e Palazzo Grassi, e gli intimò la partenza immediata da Venezia e dagli Stati della Serenissima. Nassau obbedì, in silenzio. Sei mesi dopo, l’epilogo. Gli inquisitori di Stato vengono informati che il conte di Nassau, che è ritornato senza maschera né mantello, intende recarsi a presentare i suoi omaggi alla contessa Durazzo nella sua Villa della Mira. Questa volta, il Tribunal Supremo non può che prendere atto e inchinarsi»12 . L’episodio compare anche in un documento conservato nell’archivio di Stato13: «1764, 12 dicembre. Fu fatto sapere al Tribunale che il Conte Di Nassau era arrivato con nome incognito a questa parte per secrete intelligenze colla moglie dell’ Ambasciatore Cesareo e la condotta che egli teneva con detta dama nei luoghi pubblici e nelle clandestine sue introduzioni nella casa dell’Ambasciatore era tale che partorir poteva conseguenze assai fastidiose in tutte le visite. Verificatasi poi la cosa in modo immancabile S.S.E.E. riputarono consiglio di prudenza di provvedervi prima che le conseguenze medesime sopravvenissero. Diedero lo sfratto alla detta persona incognita tempo ore 24 da questa città e tre dì dallo Stato».

Di li a poco Ernestine fu nuovamente nel mirino degli inquisitori. Ecco il documento, del 21 febbraio 1765, scaturito questa volta dai “pedinamenti” dell’informatore Giovanni Battista Manuzzi:

“Per commissione avuta ha continuato a far osservazione nei teatri se vi siano maschere che facciano gesti alla Signora Ambasciatrice Imperiale. In teatro San Cassan ne scopersi una sabato verso la fine dell’opera la quale si era posta non molto prima a sedere nella terza fila dei scanni dalla parte del palco dell’Ambasciatrice. Detta maschera guardava l’Ambasciatrice ed ella la corrispondeva, moveva la maschera le mani, ma non potevo capire che motti faceva, stante che era in mezzo ad altre maschere. Dopo di essermi trattenuto qualche poco a vedere di là e vidi che era un uomo di alta statura, scarno, il quale si fermò a discorrere con dei Gentiluomini e uscito con loro non l’ho più visto tornare. Domenica la Signora Ambasciatrice andò all’opera a San Benedetto, vi erano molte persone, né mi è riuscito di vedere in teatro la surriferita maschera. Quando l’Ambasciatrice sortì di teatro era senza maschera, servita dal Signor Residente d’Inghilterra, la seguitai fino alla riva dove si fermò qualche tempo ad attendere la sua gondola che arrivasse. S’intrattenevano allora alla riva altre maschere tra le quali conobbi subito quella che avevo veduta in teatro a San Cassan, aveva il volto sopra il cappello ed era in compagnia di altri due. La detta maschera guardò l’Ambasciatrice e lei occhiandolo faceva la bocca da ridere guardandosi poi vicendevolmente, ma con maniera destra. La detta maschera chiamò: Bortolo, Bortolo, con piccolo intervallo di tempo e Bortolo che era un barcarol che stava nella riva con fanale acceso si faceva vedere, poscia la detta maschera disse al barcarol: – Andiamo per terra – e partirono senza lasciare alcun ordine al poppiere laonde sospettai che il chiamare il barcarol e il fermarsi alla riva sia stato un pretesto per farsi vedere dall’Ambasciatrice. Avendo ricercato chi era il padrone di detto Bortolo barcarol, mi fu risposto essere il N.H. Ser Girolamo Diedo di quondam Antonio. Per accertarmi maggiormente mi portai nei giorni seguenti nella vicinanze di Ca’ Diedo a S.Fosca e vidi il detto barcarol che ha nome Bortolo Toscan sopra la porta del palazzo e seppi che serve il suddetto conte Girolamo, uno dei figli di Sua Eccellenza Antonio Diedo Conte14”.

21 febbraio 1765 G.B. Manuzzi

Ernestine Ungnad von Weissenwolf Durazzo : «la Catena che mi Seppe Incatenar»
Jacob Schmutzer Ritratto Del Conte Giacomo Durazzo, Ambasciatore Imperiale a Venezia (Museo Correr Venezia e Collezione Privata).

Il tormento amoroso d’altronde è argomento caro a tutti i poeti ed allo stesso Giacomo Durazzo. I versi da lui composti delle Cacciatrici Amanti recitano infatti: 

Oh Dio! Troppi rivali

Mi fa quel bel sembiante

Io so per prova

Quai desta in sen dolci tumulti un solo girar di tue pupille

Ove tu sei,

Veggo sol nel tuo volto

Fisso ogni sguardo

ove mi volgo, io sento parlar di tua beltà…

Ernestine Ungnad von Weissenwolf Durazzo : «la Catena che mi Seppe Incatenar»
Giovanni David, ritratto di Ernestine Durazzo.

Oltre allo charme di cui era dotata, la moglie di Giacomo Durazzo a Venezia è nota per le attitudini mecenatizie. Il pittore Giovanni David, infatti, la immortala come madrina delle arti, nella raffinata incisione conservata all’Albertina di Vienna, in cui Venere la dipinge di profilo all’interno di un medaglione. Le dedica anche, riaffermando il concetto, una serie di incisioni nelle quali i soggetti femminili ricordano episodi che esaltano il coraggio, la virtù e la sensualità di alcune donne della tradizione classica. (La morte di Argo, Ratto d’Europa, Sagrifizio di Polissena, Ifigenia in Tauride, Amor disarmato).

David non nascose, in una lettera inviata al Conte il 5 ottobre 178715, il rispetto e la “predilezione” nutrita verso Ernestine, alla quale fece giungere, attraverso il marito, rispettose notizie sulla propria salute “portando la mia servitù alla signora Ambasciatrice  dandoli parte che laudando il Signore sono di nuovo nella mia prima salutte”. Con questa frase l’artista, minato da gravi problemi di salute, rivelò la dimensione umana e la partecipazione della Contessa.

Anche l’Armida di Traetta, rappresentato nel 1767 a Venezia sulla scia del successo riscosso dall’Armida viennese, fu dedicata, con musica di Traetta e libretto di Durazzo, ad Ernestine. Ed anche qui l’Ambasciatrice è celebrata, oltre che per l’avvenenza, come “conoscitrice, coltivatrice, e fautrice delle Arti più belle” mentre il conte è definito “immortal tuo Sposo / Che a più rimoti Lustri / Lo fanno assai famoso.Ed il termine “immortale” ancora una volta, pare assai indicato a rendere il senso di quel laccio d’amore che salderà le vite dei due nobili sposi.

Ma la sposa straniera di Giacomo Durazzo, oltre che per le doti intellettuali e la passione per l’arte, conquistò le cronache veneziane per via del proprio temperamento risoluto.

Ecco una testimonianza del “carattere” dell’Ambasciatrice: 

“Un giorno, dopo un pranzo a Palazzo Loredan, il marchese Finocchietti, ministro residente del re di Napoli, aveva suggerito una visita ai giardini dell’Abbazia di San Giorgio Maggiore, nella convinzione che una comitiva della quale, oltre a lui stesso, facevano parte l’ambasciatrice cesarea e l’ambasciatrice di Francia, sarebbe stata certamente ammessa di buon grado ad attraversare le aree del convento sottoposte a clausura. I monaci, invece, non erano stati dello stesso parere, e quando l’allegra comitiva, incurante delle loro proteste, aveva oltrepassato il secondo chiostro, si era trovata dinanzi un benedettino armato di fucile. La contessa Durazzo si era arrabbiata al punto di comportarsi in modo ‘più degno di una baccante che di una persona ragionevole’. Ci furono passi ufficiali, scuse e tutte le seccature che, di solito, un ambasciatore teme come la peste”16.

Il temperamento volitivo e poco incline ai compromessi della Contessa è evidenziato anche dal rapporto stilato da Giacomo Casanova il 28 Dicembre, in veste di collaboratore degli inquisitori di stato e di improbabile castigatore dei costumi:

“Il primo ballo di San Benedetto non sarebbe forse stato tanto osservabile fuori dalle presenti circostanze. Ieri sera cagionò generalmente in tutto il pubblico discorsi non convenienti. Ubbidienti tutte le dame al Sovrano Comando comparvero al teatro mascherate, all’eccezione delle due ambasciatrici austriaca, e spagnola, che colsero con piacere quest’occasione di distinguersi. Ma il ballo di Coriolano seminò nelle menti suscettibili un certo spirito di rivolta, che fe’ nascere sinistri ragionamenti, ed uscire da varie bocche discorsi sconci. Se il programma del ballo, che, stampato, come sotto agli occhi di tutti, avesse avuto per revisore un prudente pensatore, la stampa non ne sarebbe stata permessa. Senza che il programma sarebbe stata meno potente la fanatica tenuità di Coriolano, il dispregio del decreto del Senato, l’infrazione del medesimo in quel modo scandaloso, la forza delle dame romane, la possibilità di non ubbidire, e non si sarebbe agitato quello spirito di docilità, che preme alla Sapienza di Vostra Eccellenza di mantenere sempre nei limiti della sommessa subordinazione, acciocché i sacri, e prudentissimi loro ordini sieno non solo eseguiti, ma eseguiti senza mormorazioni17”.

28 DIC. 1776 GIACOMO CASANOVA

(Attergato del Segretario degli Inquisitori di Stato).

Ma a sancire definitivamente la forza di questa unione emblema degli amori e delle passioni dell’epoca, è il momento della “cattiva sorte”, della vecchiaia, della malattia, delle difficoltà economiche. Giacomo, sebbene già malato da tempo, si spense a Venezia il 15 ottobre 1794, per la “irreparabile perdita sofferta”e “nella quasi disperazione” per la scomparsa della moglie avvenuta poco più di un mese prima a Padova, il 3 settembre 1794, come attesta il brano del 19 settembre, di seguito riportato18 e come la coincidenza temporale mostrava già con assoluta evidenza.

“La circostanza troppo dolorosa per il conte Durazzo di ritrovarsi lontano dalla sua Patria, e dall’amorosa assistenza de’ suoi Parenti e Nipoti, ma particolarmente dall’amatissimo Sig. Girolamo Durazzo figlio del fu Eccellentissimo Signor Marcello suo fratello e vedendosi in paese estero incommodato da malattia, che potrebbe terminare la sua vita, e renderne gli ultimi giorni molesti a segno di non lasciargli campo, e comodo di pensare almeno a qualche Disposizione provvisionale, risolvé provvedere a questa con una Carta, che convaliderebbe con la sua segnatura e sigillo, quale sarebbe da esso stata passata a mani dell’amatissima sua Consorte la Signora Contessa Ernestina Durazzo nata Contessa di Weissenwolff.

Non immaginava certamente che questa per una impetuosa malattia, che tale non fu creduta in principio, gli verrebbe tolta quasi improvvisamente, e che stando egli medesimo in uno stato pericoloso, dovesse pensare a provvedimenti indispensabili dopo l’irreparabile perdita sofferta. Nella quasi disperazione, dove egli si trovava non poté aver egli miglior ricorso che al di lui amico Sig. Giacomo Biffi Console in questa Dominante della Serenissima Repubblica di Genova”19 .

L’uscita di scena di Ernestine non lasciò indifferenti neppure i cronisti dell’epoca. Il 6 settembre 1794, la Gazzetta Urbana Veneta “conchiudeva le lodi delle eccelse virtù della defunta così: ‘In una parola veramente dama!’20”. Giacomo, già malato da tempo, era sostenuto dalla sua presenza. Non sopportò quindi il peso di questa perdita. Il ciclone Ernestine concluse così, con un ultimo colpo di scena, la sua brillante avventura terrena. 

Stemma Famiglia Durazzo di Genova
Lo Stemma della Famiglia Durazzo, attorniato dai grifoni di Genova e con in calce il motto “agere et pati fortia”;
©collezione privata.

Note

1 Zorzi, Canal grande, Rizzoli 1991/2000, p.404.

2 Molmenti La storia di Venezia nella vita privata. Dalle origini alla caduta della Repubblica, Arti Grafiche, Bergamo 1908, p.309.

3 Vienna 12 Settembre 1763, lettera di Metastasio a Carlo Bruschi, detto Farinello, Il testo recita: “Ieri ha pranzato (si riferisce al cantante Pasquale Potenza n.d.a.) fuori città nel giardino del conte Durazzo, e sollecitato dalla bella padrona di casa ha cantato. Come resistere all’autorità d’una bella bocca?”.

4 Alla Sig. Ernestina de’ conti di Veissenvvolf in Rime del signor Giovambatista Ricchieri, patrizio genovese, fra gli arcadi Eubeno Buprastio, in Genova, nella Stamperia di Bernardo Tarigo, MDCCLIII.

5 Si tratta della visita di Giacomo ed Ernestine che precede la scelta di lasciare Genova per Vienna e di imboccare la carriera di General-spektakeldirektor. Così Podestà (Giacomo Durazzo da Genovese a Cittadino d’Europa, Ovada, 1992, pp.151-152) sintetizza le verosimili preoccupazioni del conte in quel frangente in relazione a se stesso ed alla moglie: “…Come per Genova nessuna possibilità di un nuovo sviluppo può capovolgere i destini già assegnati dalla storia, così la sua condizione di figlio cadetto lo relegherebbe irrevocabilmente ad un ruolo subordinato nei confronti del fratello Marcello, possessore, come maggior nato vivente fra i discendenti dell’avo Gerolamo, di tutti i fedecommessi di famiglia, ed al massimo potrebbe essergli riservato l’onore, ma anche l’obbligo, di surrogarlo negli incarichi politici di secondo piano, senza neppure avere la certezza di poter salvaguardare e realizzare, in qualche misura, gli interessi artistici e culturali che, quasi per contrasto, sente più fortemente urgere dentro di sé. Si adatterebbe poi Ernestine ad un ambiente come quello genovese, così diverso da quello dove è nata e cresciuta? Il menage nel grande Palazzo di Strada Balbi non rivelerebbe forse quanto essa è straniera e quanto Paoletta e Maria Maddalena si sentano ed intendano rimanere le padrone di casa?”.

6 Lanzola in Melodramma e spettacolo a Vienna: vita e carriera teatrale di Giacomo Durazzo (1717-1794), tesi per il dottorato di ricerca, Facoltà di Lettere e Filosofia, capitolo secondo, Genova 2010.

7 Valenti Durazzo Il fratello del doge. Giacomo Durazzo un illuminista alla corte degli Asburgo tra Mozart, Casanova e Gluck, La Compagnia della Stampa. Massetti Rodella editori, Brescia maggio 2012.

8 Lettera di Giuseppe II a Maria Teresa d’Austria, Vienna 26 Marzo 1764. Il Re dei Romani scriveSt. Julien (il capo cuoco) mi ha detto ieri che sua moglie gli aveva scritto: M.me Durazzo è al culmine della gioia…”.

9 Leoncini: Giacomo Durazzo: un genovese tra Parigi, Vienna e Venezia, appendice al catalogo della mostra Torino Musicale “Scrinium” di Vivaldi, Biblioteca Nazionale universitaria di Torino, 14 febbraio – 3 giugno 2006.

10 Comisso Agenti Segreti veneziani nel ‘700 (1705-97), III edizione, Bompiani, Milano 1945, p.100, nota 1.

11Ibidem.

12 Molmenti La storia di Venezia nella vita privata. Dalle origini alla caduta della Repubblica, Arti Grafiche, Bergamo 1908, Vol.III, pp. 309-310.

13 ASVe. Inquisitori. 1764, B.537, C.44.

14 Ibidem pp. 100-102. L’autore nel 1941 spiega che il materiale utilizzato è all’Archvio di Stato di Venezia, sotto la voce inquisitori di Stato.

15 La lettera è conservata a Parma Biblioteca Palatina, Carteggio Zani.

16 Molmenti La storia di Venezia nella vita privata. Dalle origini alla caduta della Repubblica, Arti Grafiche, Bergamo 1908, Vol.III, p.309.

17 Comisso Agenti Segreti veneziani nel ‘700 (1705-97), III edizione, Bompiani, Milano 1945, pp.167-169.

18 Valenti Durazzo 2012, pp. 377-378.

19 Hohenlohe Waldenbourg Sans le manteau vénitien, Paris, Grosset, 1911, p. 89.

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