Clelia Durazzo: Donna Scienziato del Settecento

Clelia Durazzo: Genovese e Donna Scienziato del Settecento
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©Angela Valenti Durazzo 2004* Riproduzione riservata di testi e immagini
Una donna che nel fiore della giovinezza si invaghisce dello studio delle scienze, che in questo si avvalora, e cresce col crescere dell’età, che tra le dottrine presceglie le delizie di Flora la botanica, che per arricchirsi delle necessarie cognizioni sostiene disagi di lontane peregrinazioni , si procaccia l’amicizia, e la stima degli uomini più insigni, fa doviziosa raccolta di libri, e di piante per erbario, non divaga l’animo in ricreamenti, ed in femminili leggerezze, ma tutta in se raccolta dura sino all’ultima città nell’intrapreso divisamento, questa donna certamente levata sul comune del suo sesso non può non meritarsi l’ammirazione di tutti, e non deve mancare di scrittore, che raccomandi il suo nome lodato alla posterità. Questa è Clelia Durazzo Grimaldi”.

Così esordisce Antonio Bertoloni, professore emerito di botanica nell’università di Bologna, negli ottocenteschi Elogi del cavaliere Ippolito Durazzo e della nobil donna Clelia Durazzo Grimaldi (1).

Il De Candolle, altro autorevole esponente del mondo scientifico, afferma invece più sinteticamente: “non ho mai veduto una donna più fondata in botanica”.

CLELIA DURAZZO: SIMBOLO DI EMANCIPAZIONE FEMMINILE

Clelia Durazzo: Genovese e Donna Scienziato del Settecento
L’ Erbario di Clelia Durazzo al Museo di Storia Naturale G.Doria di Genova; Ft©arvalens

Quella di Clelia Durazzo (1760-1837), infatti, simbolo settecentesco di emancipazione femminile, non è un’esistenza comune. Né comune, data l’epoca, è l’unanime riconoscimento che le viene tributato dalla comunità scientifica internazionale, allora composta da uomini. Tantomeno comune è l’impronta scientifica che le viene trasmessa in famiglia.

Il padre Giacomo Filippo III è il primo vero naturalista genovese. Lo zio Ippolito Durazzo, botanico. E tutto l’ambiente familiare, cugini fratelli, zii, concorre a sviluppare in lei questa passione e a fornirle i modelli a cui ispirarsi.

Ma alla fine la studiosa di Casa Durazzo riuscirà, probabilmente, a fare meglio dei suoi consanguinei lasciando alla città un Orto Botanico (ancora esistente); una Raccolta di 550 opere scientifiche (2), di cui rimane solo il Catalogo manoscritto alla Biblioteca Berio di Genova; ed un Erbario (3) che superava i 5000 “taxa” catalogati (foto sopra) conservato oggi al Museo di Storia Naturale G.Doria di Genova.

IL SUO NOME SOPRAVVIVE NELLA “GRIMALDIA”

E l’apprezzamento dell’opera di ricerca e di catalogazione svolta dalla nobile scienziata è tale che Franz von Paula von Schranck le dedica un “fiore”, o più correttamente una specie botanica. Ribattezza la leguminosa Cassia nictitans in Grimaldia assurgens, in onore del suo cognome da sposata che era, appunto, Grimaldi.

Anche i botanici Casaretto e De Notaris le dedicano due piante: rispettivamente la Clelia e la Pallavicina. Ma prima di ottenere un così raro privilegio e prima di imporsi all’attenzione della comunità scientifica del tempo, la figlia di Giacomo Filippo Durazzo deve compiere un lungo “tirocinio”.

Clelia Durazzo nasce a Genova nel 1760. Il padre è Giacomo Filippo III, la madre Maria Maddalena Pallavicini. Viene battezzata (come del resto le sue cugine) col nome della nonna Clelia (sorella del Doge Marcellino e dell’ambasciatore, musicofilo e collezionista Giacomo Durazzo), personaggio di grande spessore culturale e vivacità intellettuale dalla quale la nipote eredita certamente parte dello spirito e dell’intraprendenza.

Viene educata, come era la norma per le giovani delle famiglie aristocratiche a quel tempo, in un monastero genovese ed in seguito in collegio a Milano. Tornata a Genova la giovane “di ingegno acuto e vivace” termina gli studi presso l’Accademia Durazzo “sotto le vigili cure di padre affettuoso”. E la liberalità paterna concorre certo a far nascere in lei il “sacro ardore” per le scienze naturali.

Ma evidentemente né la geologia né la zoologia (ambiti naturalistici preferiti dal padre e dai fratelli) le risultavano così stimolanti come la botanica. Questa passione le fu trasmessa con maggiore probabilità dallo zio paterno Ippolito, fondatore nel 1780 del primo Orto botanico di Genova” (4).

Il matrimonio con Giuseppe Grimaldi, appartenente ad una delle più antiche e consolidate famiglie aristocratiche genovesi che dà molti Dogi alla Repubblica di Genova, trasforma i sogni della giovane in realtà. Il Giardino di Clelia lentamente prende forma, nutrito dalla passione “materna” di questa donna che non potrà avere figli, e da “l’ardore pello studio di quest’amabile scienza” dell’esponente della nobiltà del Sette-Ottocento che, come sottolinea il già citato Bertoloni, non amava divagare l’animo “in ricreamenti ed in femminili leggerezze”.

Anche la statua marmorea a lei dedicata celebra l’unico aspetto per il quale Clelia voleva essere ricordata: quello della donna di scienza.

Clelia Durazzo: Genovese e Donna Scienziato del Settecento
La statua di Clelia Durazzo, di Giovanni Battista Cevasco, oggi conservata in una collezione privata Ft © riproduzione riservata

Umile e caparbia. Con lo sguardo assorto di chi ama lo studio più di ogni altra occupazione. I capelli sobriamente raccolti dietro alla nuca. Un libro in una mano ed un ramoscello nell’altra (simboli della sua attività di ricerca e dell’amore per i fiori e le piante). Così fissa l’immagine della figlia di Giacomo Filippo lo scultore Giovanni Battista Cevasco nell’unica statua che, a quanto ci consta, la raffigura (conservata in una collezione privata genovese).

GIUSEPPE GRIMALDI ASSECONDA IL SOGNO BOTANICO DI CLELIA DURAZZO

Giuseppe Grimaldi è una persona colta e di ampi orizzonti mentali, dimostrati anche nell’assecondare la passione per gli studi della moglie e nel permettere gli scambi epistolari ed i frequenti contatti con la comunità scientifica quasi come fossero “da uomo a uomo”.

Il ruolo del marito, dunque, è fondamentale. Questo sebbene i primi germi dell’emancipazione femminile stessero per sbocciare e sebbene Clelia appartenesse ad una famiglia dove sono molte le figure di donne che conquistano fama e visibilità.

Ernestine Ungnad von Weissenwolf Durazzo nelle pagine a lei dedicate in “Giacomo Durazzo Teatro Musicale e Collezionismo tra Genova, Parigi, Vienna e Venezia” Catalogo della mostra a cura di Luca Leoncini, Sagep editori, Genova 2012.

Per fare qualche esempio, limitandoci solo alle generazioni più vicine a Clelia, possiamo citare Angelina Serra, la moglie di Gerolamo Luigi Durazzo, ultimo Doge di Genova (durante la fase della Repubblica Ligure), capace qualche volta di togliere la scena al marito; Maddalena Durazzo rispettosa ma volitiva amministratrice del suo patrimonio e punto di appoggio del marito, il Doge, Marcellino; la stessa nonna di Clelia, omonima della botanica ed instancabile organizzatrice di spettacoli teatrali e “anima” femminile del casato. Da non dimenticare anche Ernestine Durazzo, moglie austriaca dell’Ambasciatore e grande riformatore in campo teatrale e musicale Giacomo Durazzo, e donna di grande bellezza e personalità. (Leggi a questo proposito A.Valenti Durazzo: Il Fratello del Doge: Giacomo Durazzo, un Illuminista alla Corte degli Asburgo tra Mozart Casanova e Gluck, La Compagnia della Stampa 2012)

Leggi anche: Ernestine Ungnad von Weissenwolf: “la catena che mi seppe incatenar” in Giacomo Durazzo Teatro Musicale e Collezionismo tra Genova, Parigi, Vienna e Venezia Catalogo della mostra a cura di Luca Leoncini, Sagep editori, Genova 2012, pag. 182-189.

Forte di tali esempi e dell’appoggio de “l’affettuoso marito” che “erale costante compagno, e sempre inchinato a favorire le sue dotte occupazioni, quanto per lui si potesse” Clelia Durazzo trova anche il posto perfetto dove piantare il primo seme del suo Orto Botanico, che col tempo diventerà un punto di riferimento per gli studiosi di tutta Europa.

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Uno dei volumi dell’Erbario di Clelia Durazzo conservati al Museo di Storia Naturale G.Doria di Genova; Ft©arvalens, Riproduzione riservata.

Si tratta dell’ampio parco del Palazzo Grimaldi a Pegli, località allora nei pressi di Genova: “Le ottime caratteristiche climatiche di Pegli e la posizione di questo terreno addossato ad un dislivello e quindi riparato dai venti montani, fecero sì che la marchesa potesse dedicarsi, oltre che allo studio di piante indigene, anche a quello delle esotiche” (5).

L’ORTO BOTANICO DI CLELIA DURAZZO “LA PIÙ IMPORTANTE RACCOLTA DI PIANTE A GENOVA E IN LIGURIA”

Così descrive il vasto terreno di Pegli il Bertoloni nei sui già citati Elogi del Cavaliere Ippolito Durazzo e della Nobildonna Clelia Durazzo Grimaldi (6).

Possedeva il Grimaldi una Villa in Pegli, della quale non so, se possa essere altra più amena per l’ampia vista del sottoposto mare, che innanzi vi si allarga, per le svariate colline ridenti di verzura, che l’attorniano, per gli eleganti edifizii di campagna, che le stanno da lato, per l’aria temperata, e per la lunga stagione dell’anno soavemente olezzante del grato odore, che i fiori degli aranci, de’ limoni e de’ cedri vi spargono”.

É a Pegli, dunque, in quel luogo di “Primavera eterna”, che nasce l’Orto Botanico che a lungo rappresenterà “la più importante raccolta di piante a Genova e in Liguria” (7).

É nella villa di vacanze dei due nobili, oggi inglobata nel tessuto urbano di Genova, che i consorti si recheranno in ogni raro momento libero “ne già si creda – precisa il Bertoloni – che mancassero ad essi allettamenti, ed onori in città, perché i molti vincoli di famiglia nobilissima, e le cariche, che il marito v’ebbe a sostenere, colà sovente li richiamavano; ma sempre che erano liberi di se si riducevano al prediletto Pegli”.

E dell’amena residenza parlano anche i testi stranieri : “La Villa Grimaldi – riporta la ottocentesca Guide de Gênes et de ses environs (8) – qui a des beaux tableaux, et surtout un riche jardin botanique du à Mad. Clélie Grimaldi Durazzo, lovée, et estimée des premiers savans pour ses rares connaissances en botanique et digne héritière du gout de sa noble familie pour les sciences naturelles”.

A partire dal 1794 – scrive Riccardo Albericci (9) già Curatore del Giardino Botanico Clelia Durazzo – cominciò a coltivare “sia con l’intelletto che con le mani” le sue piante. In tutta Europa vi era un grande fermento scientifico attorno alla botanica ed ovunque era un continuo fiorire di giardini d’inverno, grandi serre, collezioni ricchissime di specie esotiche provenienti dalle varie colonie che i ricchi Paesi europei fondavano in svariate parti del mondo. I direttori delle facoltà botaniche gareggiavano nel procurarsi le essenze più pregiate o più ricercate da mostrare con orgoglio e soddisfazione e da studiare con curioso interesse. Attingendo non solo idee ed ispirazioni ma anche piantine e semi dallo zio Ippolito, Clelia Durazzo cominciò a piantare attorno al Palazzo di Pegli diverse specie botaniche”.

GLI ORTI BOTANICI DI GENOVA

Col tempo il “giardino” di Clelia Durazzo è destinato a diventare una realtà importante. La donna lo coltiva con femminile perseveranza. Passa molte ore ogni giorno china sui libri, oppure con le mani nella terra. La sua “creatura” cresce fino ad eguagliare e poi a superare (soprattutto per quanto riguarda alcune specie rare ed esotiche) gli Orti botanici che erano nati a Genova all’inizio dell’Ottocento:

  • Villetta di Negro, di proprietà di Giancarlo Di Negro;
  • l‘Orto Botanico dell’Università, gestito da Domenico Viviani (10) (protetto della famiglia Durazzo e collaboratore molto stretto di Clelia);
  • Villa Durazzo (oggi Gropallo dello Zerbino) sulle Mura dello Zerbino trasformata in Orto Botanico da Ippolito Durazzo con la collaborazione di Antonio Bertoloni (11).
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La concentrazione di specie esotiche che si aveva nell’Orto di Clelia Durazzo Grimaldi a Pegli – spiegano Luigi Minuto (12) e Riccardo Albericci (Le Serre Ottocentesche per la coltivazione delle specie esotiche negli orti botanici di Genova) – era concessa dagli avanzati sistemi di cui il giardino era dotato. Grazie al patrimonio di cui disponeva, Clelia ricalcava l’idea che lo zio Ippolito aveva realizzato allo Zerbino, e che certo era in continuità con lo stile che più era in voga e veniva utilizzato in quegli anni: una vasca centrale di 21 metri quadri, destinata alle colture esotiche in piena terra che potevano beneficiare di una ragguardevole altezza (10 metri) per svilupparsi liberamente. Sul muro di fondo, in misura maggiore rispetto alle aranciere dello zio, delle mensole in ardesia oggi demolite ospitavano alcune decine di vasi nel periodo invernale”.

Nella seconda serra invece la botanica poteva sistemare centinaia di vasi:“Molto più interessante – spiegano infatti Minuto e Albericci – è la seconda serra dislocata nel punto più riparato e meglio esposto dell’Orto. Le sue caratteristiche rispecchiarono un differente tipo di coltura costituito prevalentemente dalla gestione in vaso delle piante : presenta un’altezza leggermente inferiore (9 metri) ed una superficie di terrari inferiore rispetto alla precedente (10 metri quadri), mentre ingigantito è il sistema di ripiani in ardesia, costruiti a gradinata, per una lunghezza totale superiore a 250 metri. La loro capacità permetteva di ospitare comodamente oltre 700 vasi, che nella stagione calda erano sistemati all’esterno della serra stessa su una simile gradinata. Tale concezione di coltura era attuabile solo su esemplari giovani, di piccole dimensioni o nanizzati e comunque richiedeva enormi sforzi da parte del personale preposto alla loro cura, ma gratificava con un elevato numero il proprietario collezionista”.

1000 PIANTE IN UNA SOLA SERRA

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Una delle serre di Clelia Durazzo nella Villa Durazzo Pallavicini di Pegli; Ft©arvalens

Chi immagina dunque Clelia Durazzo come un’aristocratica con l’hobby del giardinaggio, impegnata a trapiantare piantine e a bagnare con l’annaffiatoio i suoi fiori, è fuori strada. La nobildonna vissuta tra Sette e Ottocento applica, nel dare una struttura al suo “giardino”, i più avanzati criteri scientifici del tempo mentre il suo Orto Botanico rende necessario l’uso di personale e di criteri tecnici d’avanguardia. Il sistema di riscaldamento delle serre è a carbone, quello di irrigazione è garantito da un acquedotto privato. In una sola serra, inoltre, la marchesa era in grado di coltivare quasi 1000 piante.

“Riguardo al metodo di coltivazione usato da Clelia sono state ritrovate grandi quantità di coccini : piccoli vasetti in terracotta di diverse misure, capaci di contenere un solo seme per le prove di germinazione … e si è ancora in possesso di svariate targhette non datate”.

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“sappiamo sicuramente che quelle dipinte in nero sono più antiche, quelle blu, dipinte in modo più raffinato, più recenti” (13).

Sono stati conservati anche “umidificatori per vasi” che servivano, appunto, per umidificare le radici delle piante; e vasi per la coltivazione di orchidee, specie che necessitano di molta umidità ma che soffrono il ristagno.

GLI SCAMBI EPISTOLARI CON LA COMUNITÀ SCIENTIFICA

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L’impegno scientifico di Clelia Durazzo emerge anche negli scambi epistolari (e di sementi) che la marchesa “verde” effettuava a ritmo serrato con gli altri naturalisti. Lo stralcio della lettera del 19 settembre 1818 che qui riportiamo, conservata nell’Archivio storico del Comune di Genova (14), ci fornisce un esempio del suo metodo di lavoro, ma anche una prova dell’atteggiamento umile con il quale l’esponente dell’aristocrazia genovese si rivolgeva ai suoi corrispondenti per ottenere informazioni ed accrescere le sue conoscenze. La consistente raccolta botanica di Pegli viene infatti da lei stessa definita “piccola collezione”.

Signore, sono molto riconoscente al signor…di non aver dimenticato il mio desiderio di mettermi in corrispondenza con uno scienziato di così grande merito e che non può essermi che di grande utilità per la mia istruzione ; io vi ringrazio molto dei semi che avete avuto la compiacenza di inviarmi…l’11 di questo mese con la vostra cortese lettera; io sono molto lieta di presentare questo catalogo(15) della mia piccola collezione in verità un po’ vecchia e una piccola Appendice”.

Il tono è certamente più dimesso ed accondiscendente di quello utilizzato nelle analoghe lettere che il padre Giacomo Filippo e lo zio Ippolito scambiavano con i propri corrispondenti. Si nota dallo stesso modo di porsi di Clelia come essa si sentisse “privilegiata”, e forse a disagio, nell’inserirsi in un ambiente poco abituato alle “ingerenze femminili”. Il che giustifica la definizione che di lei dà R. Albericci nell’introduzione dell’ultima ristampa dello storico Catalogo della botanica: “Donna di classe nobile, con una posizione sociale invidiabile, Clelia Durazzo espresse la sua passione per le piante secondo le possibilità che la vita le seppe offrire. La sua cultura ebbe indiscussi riconoscimenti e forse un solo limite: un sesso che in quell’epoca voleva dire ancora discriminazione” (16).

La nobile studiosa infatti, confermano F.Calvi ed S.Ghigino (17) diventa “un punto di riferimento per gli studiosi di tutta Europa, grazie alla sua conoscenza in tale materia, non fosse stato per la discriminazione legata al sesso femminile che in quell’epoca costituiva un’oggettiva difficoltà, avrebbe potuto reggere la cattedra della nascente Università di Botanica Genovese che invece fu affidata a Domenico Viviani, suo prezioso collaboratore nello sviluppo dell’Orto di Pegli”.

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Alcuni volumi dell’Erbario di Clelia Durazzo conservati al Museo di Storia Naturale G.Doria di Genova; Ft©arvalens – Riproduzione Riservata.

Clelia Durazzo era quindi, innanzitutto, figlia del suo tempo. Un tempo che stava per gettarsi nella convulsa corsa della rivoluzione francese. E proprio questo dato fa sì che l’aristocratica, nata dalla stirpe che tanti ingegni aveva partorito, si trasformi nell’eroina, nell’antesignana, di un “femminismo” garbato e costruito sui fatti.

Mentre lo zio Ippolito Durazzo (fratello del padre) “scorrazza” per l’Europa e si approvvigiona di preziosi campioni ed informazioni per la propria collezione, Clelia segue il marito nei suoi spostamenti. Le occasioni per viaggiare, comunque, non le mancheranno.

I moti rivoluzionari scoppiati in tutta Italia, nel 1797, sull’onda della Rivoluzione Francese – si legge nel volume Villa Pallavicini a Pegli (18) – si estesero anche a Genova e il 22 maggio, quando cadde il governo aristocratico, Clelia e il marito si rifugiarono nel Regno di Parma, dove soggiornarono per diversi anni. Nello stesso giorno i rivoluzionari isolarono la tribuna che la famiglia Grimaldi aveva nella chiesa di San Martino, murando la porta che la collegava con il coro” .

Proprio a Parma infatti Clelia, che porta avanti i suoi studi, sotto la guida del professor Pascal, comincerà a raccogliere i primi campioni botanici del suo Erbario, oggi custodito nel Museo di Storia Naturale G. Doria di Genova (vedi foto sotto).

Inoltre “Durante questo esilio forzato – si legge ancora – poté compiere viaggi in Germania, Austria e Boemia visitando giardini e orti botanici, raccogliendo nuove piante e libri, incontrando illustri scienziati e botanici dell’epoca”. Inoltre, come già accennato, Clelia compila e dà alle stampe il Catalogo delle piante coltivate nel suo Giardino Catalogue des Plantes cultivées dans les jardins de Madame Durazzo de Grimaldi a Pegli, département et arrondissement de Gênes (Genova 1812), del quale verranno realizzate numerose ristampe (una delle quali nel 2002).

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Uno dei volumi dell’Erbario di Clelia Durazzo conservato nel Museo di Storia Naturale G.Doria di Genova; Ft© arvalens – Riproduzione Riservata.

IL GIARDINO DI CLELIA DURAZZO IN UN FRANCOBOLLO DELLE POSTE ITALIANE

Non a caso l’Orto di Pegli, restaurato nel 2004, e rinomato per le collezioni di orchidee, succulente, piante carnivore ed epifite, è ancora oggi meta di visite di addetti ai lavori e di turisti, richiamati anche dal parco disegnato dopo la morte della marchesa dall’architetto Michele Canzio: splendido esempio di giardino romantico.

Negli ultimi anni – riporta un depliant del Comune di Genova del 1987 – la Civica Amministrazione ha arricchito la collezione indirizzando la raccolta verso le piante rare e pregevoli di interesse didattico. Sono, inoltre, in coltivazione la Victoria Regiae, la Gunnera Manicata, nonché piante di interesse coloniale come caffè, cacao, canna da zucchero, pepe, banano chinino, thè, etc. presentate con successo nelle ultime edizioni di Euroflora”.

Quella di Clelia Durazzo, inoltre, rappresenta una delle due Ville in Liguria riconosciute come sedi di giardini storici (l’altra è Villa Hanbury a Ventimiglia).

Nel 1995 il giardino di Villa Durazzo Pallavicini) è stato anche impresso su un francobollo delle poste italiane, facendo il proprio ingresso nel mondo della filatelia (19).

Il Francobollo fa parte della serie tematica “il patrimonio artistico e culturale italiano” dedicata anche ad altri tre giardini storici italiani: quello di Villa Pitti a Firenze, quello della Reggia di Caserta e l’ultimo, dei Giardini di Ninfa (Cisterna di Latina). “I francobolli hanno inpresso il valore di 750 lire ciascuno e sono stati stampati dall’Officina Carte e Valori dell’Istituto Poligrafico e Zecca di Stato”. Nell’immagine dedicata alla Villa Durazzo Pallavicini, è stato impresso il Tempio di Diana (foto sotto) che sorge in un laghetto all’ombra del grande cedro del Libano.

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Il Tempio Di Diana della Villa Durazzo Pallavicini Di Pegli; Ft©A.Ferrari

LA MORTE DI GIUSEPPE GRIMALDI

La morte di Giuseppe Grimaldi, avvenuta nel 1820, segnerà profondamente la nobildonna. I due patrizi genovesi, infatti, erano uniti da un legame saldo e di reciproco rispetto ed il consorte aveva dimostrato nella pratica quanto tenesse alla realizzazione della vena botanica della esile e caparbia Clelia.

Così Clelia Durazzo dopo la scomparsa del marito si chiude ancor di più nel suo rassicurante giardino di Pegli, il solo luogo dove sembra trovare conforto.

Pochissimi gli scienziati ammessi da quel momento in poi nella residenza Grimaldi. Tra questi il suo collaboratore di sempre Domenico Viviani con il quale la donna aveva instaurato “un’amicizia, oltre che un legame culturale” (e che forse nutriva per lei una stima che sconfinava in un sentimento più profondo).

Clelia si dedicherà interamente alle sue amate piante negli anni che le restano da vivere.

La botanica si spegne nel 1837. Muore a settantasette anni nella Villa di Pegli immersa nel verde dove oramai viveva stabilmente.

Dalla finestra della stanza dove giace ammalata le giunge sicuramente fino agli ultimi istanti il “grato odore” delle sue piante.

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Alcune targhette conservate ancora oggi nella Villa: “queste venivano prodotte su basi di terracotta di varie misure e di diversa consistenza, venivano imbiancate e dipinte a mano con il nome il genere e la specie delle piante”; Ft© arvalens 2004, Riproduzione Riservata

“Così trapassò la donna che fu ornamento di Genova”, sentenzia Antonio Cappellini nelle Stelle Genovesi. “Clelia qualche anno prima aveva fatto un testamento nel quale nominava eredi universali le nipoti Maria, Maria Maddalena, Angiola e Maria Teresa, figlie di Gio Batta Grimaldi. Ma per via della scomparsa di tre delle beneficiarie dell’eredità, nel 1837 la marchesa Durazzo, già malata, deve modificare il testamento. Così oltre a nominare esecutori testamentari i fratelli Marcello e Gio Luca lascia a Maria Maddalena due terzi della propria eredità e ad Angiolina Grimaldi Landi la restante parte. Alla morte della nipote Maria Maddalena, vedova di Paolo Gerolamo Pallavicini, sarà il figlio Ignazio, insieme agli eredi Landi a divenire proprietario della Villa Grimaldi Durazzo”

E proprio Ignazio Pallavicini onorerà la memoria delle due personalità che l’avevano abitata facendo rivivere alla dimora una seconda primavera.

 

LA VILLA DURAZZO PALLACIVINI DIVENTA PARCO ROMANTICO CON LA REGIA DELLO SCENOGRAFO DEL CARLO FELICE

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Il taglio del nastro nel 2004 del restaurato Orto Botanico Clelia Durazzo di Genova ad opera di M.Clelia Durazzo, nata nel 1994; Ft© arvalens – Riproduzione Riservata

Nel 1840, dunque, Ignazio Pallavicini, dopo un accordo fra le parti, diventa il solo proprietario dell’eredità di Clelia Durazzo. E subito decide di attuare un ambizioso progetto di restauro del complesso affidandosi a Michele Canzio, scenografo del Carlo Felice che lo trasformerà “in uno dei più validi esempi di parco paesistico romantico che l’Italia possa vantare” e “in un esempio di parco romantico unico sia per la sua felice articolazione su un terreno tanto scosceso, sia per il suo ingegnoso impianto idrico, divenuto famoso per i divertenti giochi d’acqua e per le molteplici e fantastiche scenografie che hanno trasformato una tipica collina ligure in un luogo incantato al di fuori del tempo”.

Il lavoro di sbancamento e ricostruzione del giardino attuato dal Canzio è impegnativo. Giuseppe Cappi, infatti, in visita a Genova nel 1888, scrive: “Il piantar un giardino in quella località dove tutto mancava tranne le pietre, se non fu una creazione codesta, non sappiamo cosa significhi il verbo creare”.

Nell’idea di Pallavicini quest’opera di ristrutturazione si inseriva in un progetto generale di rivalorizzazione e trasformazione di Pegli in una Stazione Balneare. Nel 1854, infatti, Ignazio favoriva la costruzione della ferrovia (mettendo a disposizione alcuni suoi terreni) successivamente  la realizzazione dell’Albergo Michel.

Le descrizioni di questa notissima Villa Ottocentesca si succedono nel tempo particolarmente numerose e dettagliate, in guide, pitture, litografie e disegni: da quelle del primo nucleo della Villa, in origine Grimaldi, ‘Orto botanico di peregrine piante ricchissimo’ creato da Clelia Durazzo ‘nelle vaste possessioni del marito’, al successivo ampliamento eseguito dal suo erede e nipote Ignazio Pallavicini ‘a cui Pegli deve il rifiorir della sua vita e che portò il benessere di cui godiamo (20)”.

350 OPERAI PER LA CREAZIONE DI UN PARCO DA FIABA

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Un’immagine del Parco Romantico di Villa Durazzo Pallavicini,Ft© arvalens

Lo sviluppo turistico e la fortuna economica della località turistica di Pegli furono quindi certamente connessi al successo del grandioso parco della Villa Durazzo Pallavicini: la cui estensione era oltre 74.000 mq, e che sarà inaugurato nel 1846.

Il Palazzo di Clelia Durazzo, ed il vasto terreno adiacente, diventano quindi motore e fulcro della rinascita della località del genovesato ancora oggi ricca di antiche ville nobiliari (in alcuni casi trasformate in hotel): “possiamo facilmente supporre che l’accesso ai giardini, principale attrattiva di Pegli, ‘gentilmente’ concesso dai proprietari ai turisti, rientrasse nel programma di trasformazione della cittadina ligure in località turistico balneare”.

Nella trasformazione del giardino della villa in parco romantico vennero impiegati 350 operai. Da un punto di vista delle architetture e delle sculture al lavoro di Michele Canzio si affiancò l’opera dello scultore Giovanni Battista Cevasco, autore delle numerose statue collocate nel parco e all’interno degli edifici (e anche del monumento di Clelia al quale abbiamo accennato), mentre un importate contributo venne offerto da alcuni artisti della Accademia Ligustica di Belle Arti. Ma oltre al suo valore, edilizio, paesaggistico e botanico, il parco è anche importate per il suo valore “teatrale”, essendo stato concepito come “scenario per una rappresentazione storico fiabesca”.

Il tragitto al suo interno, infatti, offre una sequenza di scene che si sviluppano intorno ai vari edifici. In sostanza ogni ambientazione edilizia e naturale del parco costituisce la scena di un’immaginaria rappresentazione immersa nella romantica vegetazione.

Nelle intenzioni del Canzio la visita del parco doveva seguire il filo di una trama teatrale vera e propria costituita da un prologo di più tre atti (ognuno di quattro scene). Si trattava quindi, di una sorta di spettacolo all’aperto, di una rappresentazione teatrale in movimento, che doveva essere spiegata nel passaggio da un’ambientazione all’altra da apposite guide (ancora oggi impiegate con la stessa funzione) con il compito di tradurre gli intenti degli ideatori e di arricchire con particolari romantici e misteriosi la trama dello spettacolo scolpito nella natura.

Nel parco di Ignazio Pallavicini vennero probabilmente sistemate molte specie botaniche che si trovavano nell’Orto Botanico di Clelia. “Svilite”, in questo caso, da reperti naturalistici ad effimera scenografia.

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Il Tempio di Diana nel Parco di Villa Durazzo Pallavicini a Genova Pegli; Ft© MCD

La realizzazione del parco: ricco di grotte, corsi d’acqua, laghi artificiali e cascatelle, rientra in quella che è la nuova poetica del paesaggio dell’800.

In quegli anni “l’ideale estetico di natura – spiega Annalisa Maniglio Calcagno (20) – si identificava con la dolcezza di un paesaggio bucolico o con la grandiosità di uno scenario incontaminato, con l’irregolarità naturale delle linee e delle forme”. Inoltre, continua la studiosa: “se lo scopo del giardino era quello di suscitare stati d’animo, non bastava lasciare la natura allo stato selvaggio, occorreva creare dei contrasti nel parco per mezzo dell’introduzione di manufatti umani, di curiosità architettoniche come false rovine ed edifici esotici remoti nel tempo o lontani nello spazio…”.

Così il parco voluto dall’erede di Clelia Durazzo costituirà un importante richiamo per una Pegli che coll’andare del tempo si trasforma da luogo dell’amena villeggiatura della nobiltà a località balneare rinomata. 

Non occorre sottolineare, però, quanto diversi fossero i nuovi visitatori rispetto al selezionato pubblico che percorreva i viali della Villa quando la marchesa Durazzo era in vita. Tanto meno occorre sottolineare quanto diverso fosse lo spirito con cui la realizzatrice dell’Orto Botanico e dell’Erbario Durazzo, con le sue circa 5000 piante pazientemente essiccate e raccolte, lo aveva realizzato.

Clelia Durazzo: Donna Scienziato del Settecento
Clelia Durazzo (n.1994) con la Pagoda Cinese della Villa Durazzo Pallavicini sullo sfondo; Ft©A.Ferrari

Alla luce di questa memoria, ancora oggi conservata e tenuta in grande considerazione dai genovesi del secondo millennio, la grandiosa e spettacolare realizzazione del Canzio assume quasi i contorni di una profanazione della “piccola collezione” di Clelia.

Ma l’erbario della nobildonna aveva già lasciato quel luogo di romantiche atmosfere e giochi d’acqua per trasferirsi negli asciutti locali del Comune di Genova, istituzione a cui Clelia aveva lasciato la sua vera eredità, quella scientifica.

*testo tratto, con alcune modifiche,  dal libro “I Durazzo da Schiavi a Dogi della Repubblica di Genova” di Angela Valenti Durazzo, La Compagnia della Stampa, pagg.305-312, 2004 

Clelia Durazzo: Donna Scienziato del Settecento
Striscione nel Centro di Genova in occasione della Fioritura delle Camelie di Villa Durazzo Pallavicini; Ft©arvalens

Note:

(1) Antonio Bertoloni, Elogi del cavaliere Ippolito Durazzo e della nobil donna Clelia Durazzo Grimaldi, Bologna MDCC-CXL. Il Bertoloni, fu un insigne botanico italiano. Nato a Sarzana nel 1775 e morto a Bologna nel 1869 fu allievo di Frank e Scopoli a Pavia e si laureò in medicina. Nel 1815 divenne professore d Botanica all’Università di Bologna e direttore dell’Orto Botanico dell’Università.

(2) Citiamo come esempio delle opere scientifiche raccolte dalla botanica: Gramina austriaca di Host, Gerania di Heritier, Herbier de la France di Buillard. E ovviamente i testi di Linneo: Genera Plantarum e Species Plantarum.

(3) Si veda a questo proposito di Mauro Mariotti e Roberto Poggi : Contributo alla conoscenza degli erbari del Museo Civico di Storia Naturale “Giacomo Doria” di Genova , in Annali del Museo Civico di Storia Naturale di Genova, vol. LXXXIV- 1 settembre 1983; e di A.Piccone , Brevi notizie intorno agli erbari posseduti dal Municipio di Genova in Atti Società Ligure di Scienze Naturali e Geografiche, vol.VI, n.2, anno 6 giugno 1895, pagg.2017-2019.

(4) Si veda: Luigi Minuto e Riccardo Albericci Serre Ottocentesche per la coltivazione delle specie esotiche negli orti botanici di Genova.

(5) Fabio Calvi e Silvana Ghigino, Villa Pallavicini a Pegli, Sagep Editrice, Genova 1998, pag.81.

(6) Antonio Bertoloni: Elogi del Cavaliere Ippolito Durazzo e della Nobil Donna Clelia Durazzo Grimaldi, Bologna, MDCCCXL. Riguardo alla figura della botanica si veda anche: Pia Meda, Nel nome di Clelia, in Gardenia, Editoriale Giorgio Mondadori, n° 161, settembre 1997.

(7) Si veda di Riccardo Albericci e Luigi Minuto, Gli orti botanici a Genova.

(8) Catalogue des Plantes cultivées dans les jardins de Madame Durazzo de Grimaldi à Pegli, département et arrondissement de Gênes, Hyacinthe Bonaudo, Genova 1812.

(9) Riccardo Albericci Ristampa ed introduzione del Catalogue des Plantes cultivées dans les jardins de Madame Durazzo de Grimaldi à Pegli, Genova Pegli 2002.

Clelia Durazzo: Genovese e Donna Scienziato del Settecento

10) Domenico Viviani (1772-1840) nasce a Legnaro, presso Levanto. Si Laureatosi in medicina nel 1802 viene chiamato dalla famiglia di Negro, proprietaria dell’omonimo Orto Botanico di Genova, ad assumere la guida della scuola botanica all’interno dell’orto. Viviani sarà anche professore di Botanica e Storia Naturale dell’Università di Genova e, fra le altre cose, fondatore dell’Orto Botanico universitario.

(11) Riguardo ad Antonio Bertoloni si veda: Roberto Poggi Cenni sul alcuni naturalisti liguri dei secoli XVIII e XIX , Notiz. A.N.M.S., Anno 8, n°1, 1981.

(12) Luigi Minuto è ricercatore di Botanica presso il DI.P.Te.Ris dell’Università di Genova.

(13) C.Maggiolo e F.Santagata Il Collezionismo naturalistico del fine ‘700 attraverso l’analisi delle Corrispondenze Durazzo,Genova 13 giugno 1995.

(14) Nell’archivio del Comune sono conservate anche lettere scritte da Ippolito e Marcello Durazzo.

(15) Il Catalogo è stato ristampato di recente, nel 1983 e nel 2002.

(16) Riccardo Albericci Ristampa ed introduzione de il  Catalogue des Plantes cultivées dans les jardins de Madame Durazzo de Grimaldi à Pegli, Genova Pegli 2002.

(17) Fabio Calvi e Silvana Ghigino, Villa Pallavicini a Pegli, l’opera romantica di Michele Canzio, Sagep editrice, Genova 1998, pag.81.

(18) Ibidem

(19) M.Bottino, Villa Pallavicini diventa superstar con un francobollo, Il Giornale, 25 giugno 1995.

(20) Annalisa Maniglio Calcagno, Giardini , Parchi e Paesaggio nella Genova dell’800, Sagep, Genova 1985. Della stessa autrice si veda: Giardini e parchi storici: conoscenza, conservazione , restauro in La Camelia e il Giardino in Europa in Liguria e a Genova, atti del convegno del 28 febbraio 1998 nella Villa Durazzo Pallavicini a Pegli. Riguardo alla villa di Clelia si veda anche: Villa Pallavicini, Parco Romantico di Pegli, Sagep editrice, 1997.

Su aristocrazia e consuetudini femminili della nobiltà leggi:

Clelia Durazzo: Genovese e Donna Scienziato del Settecento
Camelia Durazzo, da una antica pianta conservata alla Villa Durazzo di Santa Margherita Ligure; Ft©arvalens

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