di Angela Valenti Durazzo – Non si spegne il mito di Enrico Caruso (Napoli 1873 – 1921), tenore leggendario al quale, terminate le recenti celebrazioni del centenario della scomparsa seguite nel 2023 dal centocinquantenario della nascita, si continuano a tributare onori in tutto il mondo. L’artista partenopeo, scomparso a 48 anni, uno dei simboli dell’italianità nel mondo, è stato celebrato lo scorso anno anche nel Principato di Monaco (dove si esibì per la prima volta nel 1902 nella Bohème) con l’opera “Caruso à Monaco” in occasione del Gala della Festa nazionale monegasca nella Salle des Princes del Grimaldi Forum con la tradizionale presenza del Sovrano e della sua famiglia. Un evento lirico diretto da Davide Livermore (direttore d’orchestra Antonio Pappano, capo del coro Stefano Visconti, tenore Jonas Kaufmann, sul palco anche l’attore italiano Remo Girone ) che ha riportato un successo trionfale (LEGGI L’ARTICOLO SULLA FESTA NAZIONALE).
Abbiamo intervistato il giovane Enrico Caruso, discendente di colui che è considerato una delle più grandi voci di tutti i tempi (il tenore lasciò infatti tre figli: Rodolfo ed Enrico Jr., avuti dalla prima moglie Ada Giachetti, e Gloria, dalla moglie americana Dorothy Benjamin). Enrico ha 32 anni, è figlio di Federico Caruso, è sposato con Elisabetta e vive in Versilia. Ha fatto anche parte del “Comitato nazionale per le celebrazioni del centenario della scomparsa di Enrico Caruso”, istituito dal ministero dei Beni culturali.
Enrico, cosa comporta essere un discendente, per giunta omonimo, di questo famosissimo cantante lirico?
Significa, nel mio piccolo, rapportarsi a questo grande personaggio di famiglia – che era il nonno di mio nonno – e contribuire a portarne avanti la memoria. Lo faccio volentieri perché c’è molto interesse che non viene solo dall’Italia e dal Vecchio Continente ma da tutto il mondo. Certo il mito di Caruso si fa spazio da sé, anche grazie all’intervento di istituzioni nazionali e internazionali. Per parte mia cerco solo di mettere un paravento a qualcosa che non si deve mai spegnere.
Pensi di assomigliargli in qualcosa?
Sicuramente non nel suo talento canoro, poiché non sono neppure particolarmente intonato, anche se mio zio Riccardo Caruso, fratello di mio padre, ha fatto il tenore diventando fra l’altro membro del coro del Maggio Musicale Fiorentino. Riguardo alla somiglianza, abbiamo come lui la fossetta sul mento, tutti abbiamo una certa aria di famiglia.
Oltre al vanto di discendere da uno dei più grandi tenori della storia, cosa ti ha insegnato la sua figura?
In lui ammiro molto, oltre al genio e alla passione, l’umanità. Era, infatti, di condizione umile ma quando ha raggiunto la fama e la ricchezza non si è mai dimenticato di chi lo aveva aiutato, aiutando anche le amiche della mamma rimaste vedove. Cantò gratis anche per gli emigrati italiani.
Quindi l’insegnamento di Caruso va oltre al suo grande successo canoro…
Si, certamente, aveva tante passioni e si capiva che aveva qualcosa nel sangue che lo avrebbe portato al successo. Ma oltre a questo era una brava persona e sono certo ci protegga dall’alto. Infatti ci sono una serie di piccoli episodi che costellano la nostra vita. Come quando con la mamma al teatro dell’Opera di San Pietroburgo, siamo entrati nel bistrot e in una sala piena di tavoli abbiamo scelto (senza volerlo) proprio quello sopra al quale c’era il suo ritratto. O come quando andando da un rigattiere in Versilia, in cerca di vasi da giardino, la mia attenzione è stata catturata da un’effige che aveva un volto familiare. Era lui e il negoziante mi ha detto che aveva quel busto da 25 anni…ho pensato che stesse aspettando me.
C’è qualche tributo alla sua memoria che hai trovato particolarmente significativo?
Credo sia importante, fra i molti, la recente apertura, nel 2023, al Palazzo Reale di Napoli del Museo Caruso (curato da Laura Valente) dove è possibile guardare immagini in 3D, luoghi dove ha vissuto, cimeli, costumi di scena, spartiti originali, caricature ecc. e ascoltare le sue interpretazioni. Portare avanti la memoria è un dovere. Per me in particolare, più che un interesse è un sentimento, che scorre anche nelle nostre vene e che sarebbe imperdonabile trascurassimo.
Nella foto in apertura il giovane Enrico Caruso
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