di Maria Grazia Casagrande
“La Poesia” – scriveva Alda Merini – “è paragonabile ad un paio di scarpette rosse. Belle come sono belle le scarpette da danza che indossano le ballerine; le guardi e sono belle, così come sono belle le ballerine quando danzano. Ma solo loro sanno davvero quanto male facciano quelle scarpette, e quanto dolore e fatica sia costato esercitarsi per fare quel balletto. Eppure lo rifaranno ancora e poi ancora, perché quello è il loro ‘fuoco sacro”.
Lo scrivere comporta la dolorosa accettazione del viaggio al centro del proprio io più profondo; l’incamminarsi in un mondo ‘altro’ in cui è possibile scoprire altri da sé, racchiudere un’immagine in un’unica parola, inventare nuovi suoni, evocare dettagli del passato grazie ad un colore, giocare tornando bambini pur con la consapevolezza dell’età adulta.
La scrittura è gioco, scoperta, consapevolezza e osservare la propria mano che scorre veloce sul foglio bianco permette di dare un senso compiuto alla parola ‘libertà’; un miracolo grazie al quale è possibile osservare tutti i giorni la stessa strada che scorre sotto casa e vederla ogni volta con una sfumatura diversa; lasciare segni indelebili del proprio cammino riversando a piene mani fiumi d’olio sugli ingranaggi della macchina dello stupore, rimuovendo polverosi scarti di malevolenza e dando spazio, infine, all’accettazione delle proprie fragilità e al significato del proprio esistere.
“Scrivere è un gesto solitario eppure in grado di coinvolgere e smuovere moltitudini di persone”.
Non è facile comprendere quanto sia temerario vivere dall’altra parte dello specchio, soprattutto quando il sistema spinge in direzione contraria, verso la concretezza, l’esteriorità, il mordi e fuggi;
mentre chi è in preda al fuoco della scrittura sembra impermeabile a tutto ciò, come perso nel nulla, lo sguardo fisso nel vuoto alla ricerca della giusta parola o della sfumatura perfetta; ma la sua immobilità, a dispetto delle facili apparenze, è fermento puro, rabbia, dolore, appagamento, immersione nelle tenebre.
Scrivere è un gesto solitario eppure in grado di coinvolgere e smuovere moltitudini di persone. E se è vero che quando si scrive si è fisicamente soli, è pur vero che si è circondati dalle molte voci dei personaggi cui si da vita e da quelle di coloro che ci leggeranno.
Con la scrittura possiamo dare scacco matto all’oblio e rendere reale il concetto di eternità; possiamo fermare nero su bianco ciò che è stato accettandone le infinite sfaccettature, i cui meravigliosi ingredienti hanno dato origine a ciò che siamo diventati. La scrittura ci obbliga a ricordare, dando voce al proprio passato affinché diventi ‘testimone’ da divulgare alle future generazioni; scrivere è necessario, perché ciò che non viene ricordato potrebbe non essere mai esistito.
Ed è per questo che scrivo, seppure questo comporti il sottostare alla furia dei venti e a tempeste che mi arrecano, a volte, un dolore profondo, proprio come quelle belle scarpette da danza che indossano le ballerine.
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