

Lectio Magistralis di S.A.S. il Principe Alberto II Ricevimento della Laurea Honoris Causa
Scuola Politecnica Palermo, 9 ottobre 2017 “Magnifico Rettore, Gentile Signora Presidente, Egregio Signor Direttore, Signore e Signori, Cari amici, Per prima cosa desidero porgere un sincero ringraziamento per le parole espresse nei miei confronti e che mi hanno profondamente toccato. Mi hanno toccato il cuore, perché lasciano albergare in me la speranza che l’azione che porto avanti da anni sia utile, che si tratti, come è stato detto, della politica perseguita dallo stato monegasco, delle iniziative della mia Fondazione o degli impegni assunti a titolo personale. Ma le vostre parole mi toccano nel profondo soprattutto perché pronunciate da uomini e donne di scienza quali voi siete. É una necessità per me inderogabile agire in accordo con la comunità scientifica, difenderla, sostenerla – sostenervi – per quanto possibile. E soprattutto ascoltarvi … Perché la peculiarità della scienza spesso consiste proprio nel dirci cose che non vogliamo sentire, rivelarci cose che non possiamo vedere e sollevare problemi che non siamo in grado di risolvere. Per questo è così facile assecondare gli istinti degli esseri umani e le loro paure, facendo leva su evidenze presunte, sull’ironia del dubbio, per mettere da parte tali osservazioni e interrogativi. Ma proprio per questo è tanto importante ascoltarvi, ora che i nostri mari, come il nostro ambiente nel suo complesso, si trovano a fronteggiare sfide di complessità e portata finora sconosciute. Sfide spesso invisibili a occhio nudo e sfide spesso contrarie alle nostre abitudini e ai nostri schemi classici. Senza la scienza, come potremmo accettare che l’oceano, questa realtà che copre oltre il 70% della superficie della Terra con un volume totale di 1,37 miliardi di chilometri cubi, sia minacciato dall’uomo? Senza la scienza come potremmo ammettere che un surriscaldamento di pochi gradi, se non addirittura di pochi decimi di grado, impercettibile per chiunque, sconvolga gli equilibri di questo pianeta provocando l’acidificazione delle acque, fenomeno ancor più impercettibile, ma che, tuttavia, rappresenta una minaccia per numerosi ecosistemi e ha già alterato tante specie marine? Senza la scienza come potremmo capire che minuscole particelle di plastica, invisibili a occhio nudo, ovviamente, oggigiorno costituiscano un grave pericolo per l’intera catena alimentare, per la sopravvivenza di molte specie e, forse, in definitiva per l’uomo? E senza la scienza come potremmo immaginare che oltre il 70% della biodiversità marina ci è ancora sconosciuta, allorquando tante specie già scoperte oggi sono a rischio di estinzione? É alla scienza che dobbiamo tutte queste conoscenze che oggi ci spingono ad agire. Per questa ragione la scienza svolge un ruolo fondamentale nella mia lotta e in quella di tutti coloro che difendono il mare e l’ambiente. Per questo ho fatto del sostegno alla scienza e della cooperazione con gli scienziati uno dei pilastri portanti su cui poggiano le mie azioni. Questa scelta s’inserisce in una grande tradizione del mio paese che si deve al mio trisavolo, il Principe Alberto I e da allora costantemente perpetrata, e che fa di Monaco una terra di accoglienza per la comunità scientifica. Il museo oceanografico, il Centro scientifico di Monaco o il laboratorio di biologia marina dell’AIEA oggi tengono viva questa tradizione, come anche i tanti eventi scientifici che ogni anno ospitiamo e sosteniamo, e ancor più i partenariati che la mia fondazione ha siglato con tanti laboratori e istituti di ricerca di prim’ordine del modo intero. E il GIEC, istituzione essenziale quanto esemplare, offre un’immagine particolarmente illuminante di quanto sia indispensabile il contributo della conoscenza scientifica ai fini della la salvaguardia ambientale. Perciò ne sostengo l’attività e per questo il Principato di Monaco e la mia Fondazione hanno difeso il progetto di un rapporto intermedio del GIEC sugli oceani e sulla criosfera, lanciato nel Principato meno di un anno fa, e che a breve ci fornirà non solo una visione globale degli effetti del surriscaldamento climatico sugli oceani, ma anche delle soluzioni che gli oceani offrono per attenuarlo. Perché la scienza, una volta individuati i problemi, spesso prospetta anche le soluzioni. E se da un lato ci mette di fronte alla gravità della situazione, dall’altro ci insegna anche l’ottimismo e ci indica i passi da compiere. Andiamo avanti, convinti che esistano soluzioni possibili, coscienti della necessità di sperimentarle e metterle in atto senza indugiare oltre, perché siamo in uno di quei rari momenti della storia in cui possiamo ancora intervenire. A questo proposito, e siccome siamo ad alcune centinaia di metri dal Mediterraneo, vorrei soffermarmi a parlare di questo mare che ci accomuna e lambisce anche l’orizzonte di Monaco, questo mare a me caro che tanta parte ha avuto nel mio impegno, questo mare al quale la mia Fondazione consacra grandi sforzi. Il Mediterraneo, come sapete, è emblematico, per la sua storia recente, ovviamente, e quella passata che lungo le sue rive ha visto nascere le più grandi civiltà. Per le sue problematiche attuali, fatte di inquietudini e di disuguaglianze. E per le sue prospettive future, nel quale si mescolano inesorabilmente sfide antropiche e ambientali, scientifiche e politiche. Il Mediterraneo significa il 28% delle specie endemiche della Terra, l’8 % delle specie marine del pianeta e il 18% della flora marina, distribuite in meno dell’1% della sua superficie e in appena tre millesimi del volume delle sue acque oceaniche … Il Mediterraneo significa, ahimé, anche 60.000 tonnellate di detergenti, 100 tonnellate di mercurio e 12.000 tonnellate di fenoli che ogni anno vengono sversate in un mare quasi chiuso … senza contare che qui transita la metà del traffico petroliero mondiale, con la pulizia delle cisterne e le tante forme di inquinamento provocate da un intenso traffico marittimo! E il Mediterraneo e il suo spazio significano soprattutto quasi cinquecento milioni di abitanti, centocinquanta dei quali vivono lungo le sue sponde, ai quali bisogna sommare circa trecento milioni di turisti ogni anno… A ciò si aggiungono, nel Mediterraneo come altrove, gli effetti del surriscaldamento climatico e l’acidificazione delle acque a cui accennavo prima. La nostra regione fragile, densa e già provata da millenni di occupazione antropica, subisce, senza dubbio più di ogni altra regione, i danni che colpiscono l’intero pianeta. Più di ogni altra, questa regione con la sua sensibilità, la sua importanza e l’attaccamento che proviamo verso di lei, ci chiede di agire. Per questo la mia Fondazione le dedica una parte rilevante delle sue iniziative che sono condotte in collaborazione con attori locali e istituzioni scientifiche e elaborano delle risposte ai mali del nostro mare. Le risposte sono le aree marine protette, per le quali mi batto da anni e che si dimostrano sempre più efficaci. Oggigiorno, le aree marine protette offrono la soluzione migliore per conciliare gli obiettivi di tutela dei mari e di sviluppo delle popolazioni costiere. Il santuario Pelagos creato da Italia, Francia e Principato di Monaco rappresenta un’area d’eccezione per la protezione dei mammiferi marini. In molte regioni del Mediterraneo, come in quasi tutti i mari del globo, altre aree marine protette riscuotono grande successo sotto il profilo ecologico, economico, scientifico e pedagogico. Il Cile, dove mi trovavo pochi giorni fa, ha appena annunciato la creazione di un’area marina protetta di 720.000 km2… Eppure, nonostante questi passi avanti molto significativi, le aree marine protette attualmente coprono meno del 5% delle superfici marine, quando l’obiettivo fissato ad Aichi nel 2010, nel quadro della Convenzione sulla Diversità Biologica, era il 10%… E molti scienziati ritengono che, per fronteggiare i tanti pericoli che minacciano i nostri mari e garantire un più vasto equilibrio alla terra, la proporzione delle superfici marine protette dovrebbe attestarsi al 30%. Quindi, dobbiamo fare di più: non dobbiamo limitarci al ricorso a queste aree particolari di tutela, dobbiamo spingerci oltre e sviluppare tutto un modello economico. Un modello capace di garantire la salvaguardia a lungo termine dei nostri mari e, di conseguenza, del nostro pianeta. Certo, il primo passo obbligato è la lotta ai cambiamenti climatici, che comporta la dismissione delle energie fossili. Anche sotto questo profilo gli oceani sono al centro delle strategie che dobbiamo sviluppare. Penso in particolare alle energie marine rinnovabili che ci consentiranno di ricavare dal mare nuove risorse favorendo lo sviluppo delle popolazioni, senza danneggiare il nostro pianeta. Che si tratti di energia eolica, mareomotrice, del moto ondoso, da biomassa o termica, come le pompe di calore marine che abbiamo installato a Monaco, l’efficacia su vasta scala di queste fonti energetiche è già stata dimostrata. Il modello deve contemplare anche la lotta agli agenti inquinanti che devastano i mari, e il Mediterraneo in particolare. É necessario approntare dei sistemi di trattamento delle acque, che nelle nostre regioni costiere troppo spesso sono ancora insufficienti. Ma bisogna soprattutto combattere il flagello mondiale dell’inquinamento da rifiuti plastici. Nel Mediterraneo abbiamo lanciato Beyond plastic med (BEMED), un bando per la presentazione di progetti finalizzati alla realizzazione di iniziative innovative anti-inquinamento. In molte regioni le popolazioni sono coinvolte nello sviluppo di tali iniziative che è fondamentale sostenere e incoraggiare. Il nuovo modello che dobbiamo inventare impone, infine, uno sfruttamento delle risorse marine più responsabile e sostenibile.
Dall’8 al 14 aprile 2018, il Principato si mobilita di nuovo per la preservazione degli Oceani

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