di Angela Valenti Durazzo – Dal padre Enzo Jannacci, scomparso nel 2013, oltre alla somiglianza fisica, ha certamente ereditato la sensibilità musicale, l’esuberanza e la filosofia di vita. Cantante, compositore, arrangiatore, jazzista, Paolo Jannacci suona pianoforte, fisarmonica e basso. Oltre ad avere partecipato nel 2020 al festival di Sanremo, vanta collaborazioni con grandi artisti e prima ancora con il padre Enzo Jannacci di cui è stato anche produttore. Al papà è grato, fra le molte cose, “perché gli ha regalato un modo diverso di vedere la realtà”.
Abbiamo intervistato Paolo Jannacci a Monaco prima dell’inizio della serata a cura dell’Associazione Dante Alighieri, dedicata alla proiezione del Docufilm di Giorgio Verdelli su Enzo Jannacci “Vengo Anch’io” (che ha partecipato fuori concorso al Festival del Cinema di Venezia) al termine della quale ha eseguito proprio la celebre canzone paterna “Vengo Anch’io. No tu, no” ma anche un proprio brano coinvolgendo e conquistando il pubblico presente.
Leggi QUI l’intervista a Giorgio Verdelli
Paolo Jannacci, cosa è significato per lei essere figlio del grande Enzo Jannacci?
Papà mi ha regalato un modo diverso di vedere la realtà, a volte molto romantico, a volte invece un po’ cinico, come siamo un po’ noi teatranti, noi artisti. Abbiamo a che fare con i due lati delle persone, cioé il lato più emozionale e alle volte anche quello più negativo. Insegnare questo ad un figlio è difficile. Io invece l’ho imparato perché ho potuto seguire il suo lavoro, nel quale poi mi ha coinvolto. E da lì ho deciso che volevo fare anche quello nella vita. E quando ho deciso papà mi ha sempre sostenuto.
Si sente di dovere dimostrare qualcosa a suo padre?
Sì certo, io cerco sempre di dimostrare qualcosa, cerco di fare la differenza, perché il pubblico mi dà credito, mi dà la sua attenzione e io devo esserne degno e per questo cerco sempre di lavorare ad alto livello in qualsiasi cosa. Anche con il papà volevo dimostrare che avevo imparato determinate cose e avevo studiato e lui era felice quando gli facevo sentire quello che avevo fatto. E poi anche durante la produzione si fidava perché sapeva che io un po’ gli leggevo nel pensiero e avrei fatto una cosa che anche lui avrebbe fatto.
Cosa è per lei la musica e il jazz?
La musica è qualcosa che ci può salvare a volte dalla negatività, dall’essere depressi, la musica ti aiuta ad accompagnare la tua vita, il tuo percorso qualsiasi esso sia. E nel mio caso è tutto questo e oltretutto io lavoro con la musica.
Cosa pensa di aver preso dal papà in senso umano?
Senz’altro il cercare di sdrammatizzare e a volte di ridere dei guai e osservare il mondo che ci circonda in maniera abbastanza disinibita. La profondità ci deve essere sempre, però se tu riesci comunque ad essere profondo, ad essere sincero e nello stesso momento riesci anche a sorridere di quello che ti sta capitando intorno, questo è l’antidoto migliore.
Venendo al docufilm “Vengo Anch’io”, come l’ha vissuta questa avventura?
L’ho vissuta bene. Giorgio Verdelli, che è il regista, è una persona straordinaria che ha saputo chiedermi determinate cose con grande garbo e gentilezza. E poi sapevo che il mio materiale d’archivio lo avrei dato ad un professionista che avrebbe fatto una cosa bella. Infatti non avevo mai dato nulla perché sono cose mie e comunque di immagini e filmati su papà in giro ce ne sono tantissimi. Nel docufilm mi sono messo anche io in prima persona, e ho messo a disposizione del materiale volentieri perché lo staff di Giorgio Verdelli era di grande personalità ed educazione. Ho aperto i miei archivi fotografici con Guido Harari, un grande fotografo italiano, perché so che lui più che un fotografo è un artista, che voleva molto bene al papà e su di lui ha creato un libro monografico molto emozionante.
Qualcosa di questo film documentario la ha stupita, la ha fatta riflettere, magari, anche in relazione a se stesso?
Mi ha stupito la relazione con tanti amici, cosa che forse anche io sto facendo in questo momento ma non me ne accorgo. Mi sono accorto di quanto mondo sia passato fra le mani del papà, in mezzo e di fianco a lui. E quante esperienze abbia potuto condividere con altri.
E soprattutto il ricordo molto positivo che hanno di lui tutti i big intervistati…da cosa dipende secondo lei?
Quello che cerca di fare la famiglia Jannacci da sempre è lavorare sulla genuinità, per quanto riusciamo. Siamo sempre stati fortunati e non abbiamo mai voluto strafare, forse. E quando è scoppiato il successo, anche per il papà, lo ha cavalcato ma in maniera molto naturale. E così faccio anche io. Non mi aspetto niente. So più o meno dove vorrei arrivare e cerco di farlo comunque rispettando il pubblico.
Come vede il suo futuro musicale?
Il mio futuro è aperto ovviamente al mondo della musica, e al canto in questo momento, perché le storie che ho scritto ultimamente sono cantate e non sono solo musicali, come ho fatto negli anni passati. Quindi ho brani nuovi da proporre e nella musica strumentale sto lavorando bene in teatro con Stefano Massini, che è un grande drammaturgo italiano e ho avuto il piacere di conoscerlo e lui mi ha dato fiducia.
Nell’immagine in apertura: Paolo Jannacci a Monte Carlo;Ft©arvalens
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