Una Cabina di Regia per la Tutela dell’Agroalimentare Nazionale Italiano

Una Cabina di Regia per la Tutela dell'Agroalimentare Nazionale Italiano
Ft. Deva Darshan

di Giuseppe Durazzo 

Bureau d’Etudes et Conseils Monaco

La recente acquisizione da parte di un primario operatore francese del settore lattiero caseario di una storica azienda nazionale italiana specializzata nella produzione e nella distribuzione di formaggi italiani, per altro già di proprietà non italiana (si veda: “A Lactalis il Parmigiano Reggiano di Nuova Castelli” su Ansa.it 30 maggio 2019) e la conseguente acquisizione di altri importanti marchi: Alival e Mandara ( si veda “Lactalis compra il parmigiano di Nuova Castelli” su Repubblica.it 29 maggio 2019) ha fatto parlare l’informazione di quel caso come di un attacco al sistema agroalimentare nazionale italiano. 

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E’ abbastanza raro che, al di fuori della stampa di settore, si parli delle vicende dell’agroindustria che sconta, forse, una debolezza mediatica rispetto ad altri settori produttivi anche meno rilevanti economicamente. 

Forse, visto che l’attenzione non era ancora sopita, si è parlato della chiusura di uno stabilimento di dadi da brodi poiché la proprietà multinazionale ha deciso di trasferire altrove (in Portogallo) la produzione. 

Due episodi diversi per natura ed impatto economico e sociale dopo di che, magari, calerà il silenzio sul tema. 

Ma prima che tutto sia dimenticato e salutando comunque la vivacità imprenditoriale, qualche riflessione si può fare.

L’AGROALIMENTARE: “PETROLIO ITALIANO” 

Credo che si possa accettare, almeno come immagine, quella dell’agroalimentare quale il “petrolio italiano”, vale a dire una risorsa vitale per il Paese. 

Ma a differenza del petrolio che hai o non hai, l’agroalimentare è fatto certamente di fattori naturali (di base, la terra, l’acqua ed il sole, per altro sempre meno essenziali) ma soprattutto di persone che sanno produrre, trasformare, elaborare, confezionare e vendere gli alimenti e che per quelle loro capacità posseggono una reputazione. 

Quindi, l’agroalimentare è frutto certamente di tradizione, comunque di lavoro, ma anche di tecnologia e di inventiva che si deve rigenerare in continuazione per reggere la concorrenza, ma soprattutto le nuove tendenze dei consumatori globali.

Una Cabina di Regia per la Tutela dell'Agroalimentare Nazionale Italiano
Ft. Nrd

Eppure, espressioni come “si è sempre fatto così” o la convinzione che si trovi un ristorante italiano in tutto il mondo, esprimono un’idea diffusa per la quale l’alimentare sia un settore tutto sommato fermo, nel quale l’innovazione non sia di casa, dove se hai qualche prodotto storico sei comunque al sicuro in quanto nessuno scalzerà quella rendita di posizione. 

I PRODOTTI DOP/IGP RAPPRESENTANO IL 21 PER CENTO DELLE ESPORTAZIONI DI PRODOTTI ALIMENTARI

Ma i numeri non confermano: basti ricordare che i prodotti DOP/IGP, rappresentano solo il 21% (fonte: XVI Rapporto Ismea-Qualivita sui prodotti alimentari) delle esportazioni di prodotti alimentari. Quindi sonoi prodotti alimentari senza disciplinari di produzione UE, innovativi o salutistici che rappresentano quasi i 4/5 dell’esportato italiano.

L’ “enfasi” verso il prodotto di qualità (riferendosi alle DOP/IGP) innesca una pericolosa ed improduttiva concorrenza interna con gli altri prodotti alimentari e mette in secondo piano l’attenzione verso l’agroalimentare nella sua complessità e ricchezza. 

Ed ecco che l’interesse del grande pubblico e purtroppo spesso anche dei decisori, guarda ad altre attività e progetti, forse più visibili, o apparentemente più avveniristici, come se l’alimentazione e la nutrizione non fossero un settore imprescindibile e che creerà sviluppo anche per il futuro.

Se l’agroalimentare è un settore fondamentale per l’Italia ben più che altrove, occorrono una speciale vigilanza, ma anche strumenti di comprensione delle sue dinamiche e necessità in una visione del mercato globale, specie per crescere nei mercati esteri, ma anche per non indietreggiare su quello interno. Ed il pensiero va a quei settori, diversi dall’alimentare, che già oggi ricadono sotto un’attenzione specifica delle Istituzioni nazionali come, per fare degli esempi, le reti di comunicazioni, i sistemi di sicurezza nazionale, di approvvigionamento energetico i monopoli naturali.

I recenti casi di cronaca hanno mostrato come, a parte i lamenti nazionali sul fatto che il controllo dell’azienda italiana passasse direttamente nella mani di una portatrice di interessi economici contrari a quelli degli esportatori italiani, o che si perdano posti di lavoro, non vi sia stata né un’allerta preventiva sul rischio, né un’idea strategica, e men che meno un progetto nazionale pubblico che, valutata l’eventuale strategicità dell’operazione, sviluppasse uno strumento che permettesse l’acquisizione da parte di operatori non concorrenti degli interessi nazionali o comunque un rilancio pubblico/privato.

Insomma, è talvolta carente la visione generale per un settore fondamentale per il Paese.

Il problema non nasce oggi (pensare al caso Parmalat riporta le lancette indietro di diversi anni, ma ancor più indietro potremmo andare con dei casi di studio, come quello del «panettone di Stato», come fu definito all’epoca), ma se non si impara almeno dalle criticità allora dobbiamo non solo aspettarci, ma rassegnarci ad altre crisi.

UNA CABINA DI REGIA PER UNIRE CAPACITÀ GIURIDICHE ECONOMICHE E DI STUDIO DEI MERCATI

Ci vorrebbe una cabina di regiache, unendo capacità giuridiche, economiche e di studio dei mercati, fosse in grado di analizzare e soprattutto comprendere debolezze e punti di forza dell’agroalimentare nazionale italiano, individuare degli obiettivi, gli strumenti per raggiungerli, se del caso comunicando e coordinandosi anche con i regolatori degli altri settori strategici del Paese, visto che la competizione tra Stati sovente arriva a livello dell’alta politica e quindi degli arrangiamenti diplomatici tra Paesi. 

Pensare che l’azienda privata, abituata per logica, ma anche per esperienza, a superare ogni difficoltà sia interna, che di sistema (complessità di quello regolatorio in primis), possa reggere in un mercato globale senza il sostegno (economico e giuridico) delle Istituzioni è una visione semplificata.

Specialmente con l’esperienza di chi veda la situazione, anche giuridica, dell’agroalimentare italiano da fuori dell’Italiaappare netta la necessità che, ciascuno nel proprio ruolo, Istituzione pubblica ed impresa privata, operando con una condivisione di prospettiva, possano coniugare al meglio la potenza dell’Istituzione pubblica che determina regole e fornisce strumenti giuridici validi anche internazionalmente con l’attività d’impresa tipica privata.

Non si deve inventare nulla, anche perché la strategia in altri Stati esiste già e viene utilmente applicata anche verso casa Italia.

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